Edoardo Persico e il labirinto di Camilleri

PASQUALE BELFIORE
Uno dei romanzi più recenti di Andrea Camilleri – Dentro il labirinto, Skira 2012 – affronta il tema della morte di Edoardo Persico. L’incursione nel genere delle storie dell’arte da parte d’uno dei narratori italiani di maggior successo non è inedita, essendosi già occupato di Caravaggio e Renoir.

Inattesa invece lo è nel caso di Persico la cui scomparsa nella notte tra il 10 e l’11 gennaio del 1936 è stata da sempre attribuita a una crisi cardiaca in soggetto già da tempo sofferente. Da quella data a oggi, in più d’una occasione il nome di Persico e le cause della sua morte sono stati riportati alla luce in ambienti non di architettura, con Gualtiero Peirce, Leonardo Sciascia (senza risultati) e Oreste Del Buono che ne scrisse sul supplemento «Tuttolibri» de «La Stampa» nel 1993.
Il giudizio su questo ritorno più recente dell’enigma Persico è controverso. Il libro è stato accolto in ambiente letterario con il consueto favore riservato ad ogni uscita editoriale di Camilleri. È stato invece recensito con motivate riserve in sedi più specializzate da critici e storici dell’architettura con la sola, incomprensibile eccezione di «Casabella», la rivista di Persico.
Ricorrendo per ora alla consueta formula valutativa degli spettacoli sulla stampa, si potrebbe dire che il libro ha riscosso successo di pubblico ma non di critica. Giudizi calzanti appieno, l’uno e l’altro, perché il romanzo è ben riuscito nel suo genere ma le riserve avanzate dalla critica architettonica appaiono ragionevolmente fondate.
Ammesso (ma non concesso) che parole come enigma e labirinto siano del tutto confacenti alla biografia di Persico, alla fine della lettura si ha la netta sensazione che l’enigma non sia stato sciolto, dal labirinto non si sia usciti e la soluzione – per dichiarazione dello stesso Camilleri – sia stata affidata alla “invenzione narrativa” e dunque tutta dentro una finalità letteraria.
Se le cose sono in questi termini, perché allora conferire al libro quel carattere di romanzo storico che in realtà non possiede? Perché moltiplicare in modo esponenziale le motivazioni della morte e poi ammettere che nessuna di esse è dimostrabile?
Perché inserire dettagli narrativi alquanto sgradevoli che nulla hanno a che vedere con il Persico che conosciamo? E infine, riassuntivamente: c’era la necessità storico-critica dettata da nuove conoscenze, inediti documenti, tali da giustificare la ripresa dell’enigma Persico?
La risposta all’ultima domanda è, ovviamente, no, non ci sono nuovi documenti e acquisizioni. Le altre risposte non ci sono per l’evidente natura retorica degli interrogativi.
Si potrebbe chiudere qui il discorso, almeno da parte di chi si occupa di critica artistica e non letteraria e rubricare il libro nell’ambito di quei legittimi sperimentalismi letterari che si muovono tra realtà e invenzione, senza l’obbligo di denunziare di volta in volta l’ambito di appartenenza delle cose narrate.
Si potrebbe, ma non è il caso di farlo: per il credito di cui gode Camilleri verso il quale un’archiviazione sbrigativa del genere sarebbe per certi versi irriguardosa; per la figura di Persico che viene proposta ad una dimensione al lettore, quella dell’ambiguità che alimenta ancora una volta l’enigma Persico.
Non è il caso di farlo anche perché – ed è uno dei risvolti positivi di questa iniziativa editoriale – la ripresa di Persico ha riproposto il tema dell’ archivio e delle classiche «carte scomparse» del critico d’arte napoletano, questo sì un enigma, un giallo sul quale sarebbe opportuno indagare.
Anche in questa nota dunque, è opportuno un supplemento di riflessione affidato dapprima ad una sintetica ricognizione del contenuto del libro del quale più che la trama interessa portare in emersione le tre, quattro questioni che hanno costruito negli anni le zone d’ombra nella biografia di Persico puntualmente riprese da Camilleri e poi ad una rassegna delle recensioni che darà conto delle motivate riserve in precedenza citate.
Il libro
Intanto, come nasce, l’occasione. Lo racconta Camilleri in due interviste televisive rilasciate a Corrado Augias e a Mirella Serri. Egli conosceva già qualcosa di Persico perché aveva letto moltissimi anni fa l’epistolario Dino Garrone-Persico e alcuni scritti di Alfonso Gatto. Di recente, è stato Maurizio Di Puolo a parlargli di Persico e soprattutto degli interrogativi ancora aperti sulla sua morte. Com’era naturale prevedere, nasce dapprima curiosità e poi interesse professionale in quel che viene considerato il maggiore giallista italiano. A Eileen Romano di Skira il compito di inviargli un voluminoso dossier per approfondire l’argomento. Dossier che diventa l’apparato filologico di riferimento con il quale si costruisce la vicenda romanzata di una vita personale, privata nella quale quasi tutto è sfuggente, ambiguo.
Con questa opinabile premessa prendono avvio tredici snelli capitoli i primi nove dei quali dovrebbero contenere la parte documentaria, quella più certa. Il presentimento della morte, L’ambiguità politica, Ancora dell’ambiguità politica, Le congetture di Mariani, Il mistero di Mosca, sono alcuni titoli che non sembrano preannunziare trattazione di cose certe ma intendono ribadire – quasi ossessivamente – quel «quasi tutto è sfuggente, ambiguo» nella vita di Persico. Ambiguo è la parola più ricorrente, qui in questo libro come in tutti gli scritti che si sono occupati dell’enigma Persico.
Ambiguità delle situazioni nelle quali egli s’è venuto a trovare, ma anche suoi comportamenti manifestamente ambigui, conferma Camilleri. Vediamo più in dettaglio alcuni di questi comportamenti/situazioni di ambiguità così come sono descritti nei primi nove capitoli.
Il primo posto spetta di diritto alle cause della morte. Accanto a quella ufficiale della crisi cardiaca certificata dal medico si elencano altre tre, quattro possibili cause: il suicidio passivo (ammalato, s’è lasciato intenzionalmente andare e non s’è curato); l’omicidio a sfondo politico ( ucciso perché antifascista, con la variante d’una semplice lezione che doveva essere impartita ma conclusasi tragicamente); omicidio a sfondo sessuale (per l’amicizia, naturalmente ambigua, con alcuni artisti omosessuali).
Per ognuna di queste ipotesi, Camilleri cita circostanze reali e dichiarazioni di persone molto vicine a Persico, da Birolli alla Mazzucchelli a Gatto e al suo amico Peirce, ma deve ammettere che nessuna di esse ha una forza di convincimento tale da scalzare quella ufficiale.
Che ha, è vero, qualche lacuna, ma le ipotesi alternative appaiono inverosimili allo stato attuale dei documenti conosciuti. Sembrerebbe dunque arrendersi anche Camilleri a questa realtà delle cose ma da smaliziato narratore – come vedremo in particolare più avanti – nella parte documentaria del libro si astiene dal prendere posizione e anzi avanza dubbi logicamente fondati sulla tesi dell’omicidio e poi invece nell’epilogo «romanzato» svela il suo intimo convincimento sulla vicenda, cioè l’omicidio a sfondo politico.
La prima, più importante e controversa questione della biografia di Persico, le cause della sua morte, trova in questo libro un singolare epilogo: dal punto di vista storico, non cambia assolutamente nulla perché la tesi della morte naturale emerge quella più verosimile, merito anche di Camilleri che con la sua riconosciuta acribia monta e smonta le tesi alternative; dal punto di vista letterario o dell’invenzione narrativa, l’enigma è sciolto perché Persico è stato ucciso per motivi politici.
Altra zona d’ombra è costituita dal Persico formidabile, incredibile, fantasioso racconta-balle in servizio permanente effettivo. La definizione è di Francesco Tentori che ha dedicato un saggio al Persico grafico e architetto. Camilleri sembra farla sua e dedica due interi capitoli ai numerosi arresti per motivi politici e viaggi all’estero che Persico dichiara di aver subito e fatto e qualche testimonianza, anche autorevole, conferma. Ora, che egli fosse persona tanto riservata quanto fantasiosa è tratto caratteriale che molti hanno sottolineato.
Con più verve linguistica Zevi, con più misura de Seta che parla di un uomo capace anche di dire bugie come fece con Gobetti o, in altre occasioni, inventate da altri (i viaggi a Mosca) ma del tutto refrattario a inseguire le insinuazioni o le calunnie di cui era bersaglio. Nel caso degli arresti, c’è una ridda di ipotesi su date e motivazioni.
Sembrerebbe che già a Napoli nel 1925 sia rimasto in carcere per qualche giorno, ma è nel 1929 e nel 1935 che a Milano avrebbe subito fermi di breve e lungo periodo, molti non confermati da documenti. Le cause vanno dalla sua comprovata attività antifascista all’altra più fantasiosa, esclusa da Camilleri, di informatore dell’Ovra che si accredita presso gli ambienti dell’opposizione al regime proprio attraverso la messa in scena degli arresti.
Nel caso dei viaggi, l’accertamento di quanti e quali avesse fatto risulta ancor più laborioso. Sarebbe stato in almeno quattro, cinque nazioni straniere tra cui Francia, Inghilterra, Germania e Russia. Lo scrive anche la Veronesi ma non dimostra quando e perché. Per Camilleri, Persico sarebbe stato una sorta di viaggiatore sedentario che frequentava biblioteche consultando guide di città straniere per acquisire notizie e su queste costruire viaggi e incontri spacciati per realtà.
Come l’immaginario viaggio-missione a Mosca nel 1924 qui descritto in un intero capitolo che presenta intrecci esilaranti più che labirintici con casi di omonimia tra Edoardo e Giovanni Persico e con un diplomatico russo dall’impegnativo cognome Pevsner. Come per il tema delle cause della morte, anche su arresti, viaggi e sospetti d’essere agente dei servizi, Camilleri mostra prudenza e dichiarato scetticismo (informatore dell’Ovra… non credo che Persico lo sia mai stato).
Ma, ancora una volta, nella seconda parte romanzata del libro, Persico diviene uno stimato agente dei Servizi sempre in giro tra Mosca, Berlino e la Jugoslavia, con l’attesa redenzione finale allorché, apprendendo con stupore d’essere stato complice di un assassino, Mussolini, che ha fatto ammazzare Matteotti e percuotere l’amico Gobetti, lascia l’organizzazione segreta. Siamo in ambiente romanzato, è vero, ma uno dei maggiori esponenti della critica d’arte del Novecento italiano non può passare per uno sprovveduto doppiogiochista politico.
Le zone d’ombra più imbarazzanti riguardano le questioni delle carte scomparse dell’archivio Persico e dei suoi nemici che non lambisce ma entra addirittura di prepotenza anche dentro la redazione di «Casabella». Il primo tema ruota intorno alla figura di Riccardo Mariani le cui “congetture” occupano l’intero settimo capitolo.
Per Mariani, letto da Camilleri, le ipotesi sulla fine di Persico passano dall’omicidio politico a quello a sfondo omosessuale al suicidio. Quanto ai sospetti di natura politica, non fu agente dell’Ovra ma delatore sì. Quanto ai sospetti di natura sessuale, i «giochi» e le «amicizie particolari» cui allude parlando con Maurizio di Puolo potrebbero entrare nel novero della tesi dell’omocidio. Mariani è lo storico dell’arte che probabilmente ha visto più carte «private» di Persico rispetto ad altri studiosi.
È quello che – secondo Maurizio Cecchetti – ha avuto per le mani documenti prelevati dalla Fondazione Feltrinelli e mai restituiti, è quello che conosce e forse possiede l’archivio di Pietro Maria Bardi morto in Brasile tempo fa, intellettuale fascista di primo piano, mediatore tra gli architetti razionalisti e il regime, amico e protettore del critico napoletano. Cecchetti intuisce che sia una delle figure chiave dell’enigma Persico. Probabilmente, questo potrebbe rivelarsi il merito maggiore del romanzo sul piano storico-critico: riproporre con forza il tema delle «carte scomparse» che riguardano aspetti della biografia privata di Persico.
Il secondo tema – i nemici di Persico dentro «Casabella» – è materia d’elezione per un autore di noir. Non ovviamente nemici che abbiano avuto un ruolo nella sua scomparsa ma che però abbiano contribuito a far nascere quell’omertà stupefacente attorno a Persico della quale ha parlato Mariani. Due episodi emblematici citati da Camilleri.
Nei necrologi sul «Corriere della Sera» emerge subito come stranamente, non ci sia un annunzio autonomo della direzione e della redazione di «Casabella» o del direttore Pagano. È un’assenza inspiegabile. Qualche giorno dopo la Mazzucchelli viene chiamata da Pagano che le fa capire che forse sarebbe dovuta andare via. La stessa Mazzucchelli confessa a Peirce il suo intimo convincimento che Persico fosse stato ammazzato per motivi politici.
Un’ipotesi che senza dubbio era circolata nella redazione di «Casabella». Quindi, conclude Camilleri, la spiegazione dell’omertà sarebbe che, essendo circolata la voce che Persico era stato fatto fuori dalla polizia fascista, i suoi amici avrebbero avuto timore di restarne compromessi parlando o ricordando la memoria con troppa partecipazione.
Ovvero, una redazione di «Casabella» codarda perché impaurita. Altra deduzione logica non v’è alla ricostruzione di Camilleri e all’omertà di cui ha parlato Mariani.Prima di chiudere questo excursus sui primi nove capitoli del libro, un accenno va fatto ad alcuni dettagli narrativi alquanto sgradevoli dei quali si parlava all’inizio di questa nota.
Il più insopportabile – tale perché associa a Persico una napoletanità d’accatto dalla quale s’è sempre tenuto lontano anni luce – riguarda la motivazione dell’arresto con l’accusa di aver collaborato alla creazione dei Gruppi antifascisti gobettiani.
La motivazione che Persico propone ha un sapore tutto partenopeo. Dunque, trovandosi egli in un ristorante, il suo pasto veniva continuamente interrotto dai posteggiatori che intonavano «Giovinezza, giovinezza» ad ogni pie’ sospinto. L’esecuzione dell’inno fascista significava, per gli avventori, l’obbligo di smettere di mangiare e di alzarsi in piedi.
Perciò avrebbe protestato vivacemente. Nasceva un tafferuglio con avventori di fede fascista e da qui l’arresto. Non antifascismo, dunque, ma il timore che gli spaghetti alle vongole diventassero immangiabili.
Il prologo agli ultimi quattro capitoli si ritrova in chiusura del nono. (E qui sono costretto a fermarmi. Ho percorso tutto il labirinto e mi ci trovo ancora intrappolato dentro. Non mi è stato possibile dare una risposta certa nemmeno a una delle tante domande, perché ogni risposta ipotizzata apriva altri piccoli labirinti che conducevano ognuno ad altre domande.
Se dovessi insomma disegnare i percorsi fatti non ne verrebbe fuori la pianta di un labirinto, ma una serie di ghirigori ora sovrapposti ora a se stanti non dettati da una necessità geometrica. Allora provo io a fare una mappa possibile. Che ha l’unico merito di intrecciare diversamente, attraverso l’invenzione narrativa, tutti i percorsi sin qui fatti ma tenendoli sempre in filigrana).
La mappa possibile preannunziata è titolata «Appunti per un romanzo». Ma proprio nell’adozione della parola romanzo si nasconde la chiave interpretativa e la finalità del libro: allo stato attuale delle conoscenze sulla biografia di Persico, tutte le ipotesi, congetture, sospetti e illazioni che l’hanno immiserita non hanno trovato alcuna conferma che ne certifichi l’autenticità. Camilleri lo ammette in modo esplicito.
La chiave romanzata è quella che gli consente tuttavia di accreditare il suo personale convincimento su alcuni dei tasselli che compongono l’enigma Persico. Così, se ne ricostruisce la biografia a partire dalla fine della prima guerra mondiale nel 1918 e fino alla tragica notte del gennaio 1936. C’è il Persico agente dei servizi segreti con i suoi viaggi in mezza Europa, ci sono i rapporti personali e di lavoro, quello tormentato con la moglie Cesira Oreste e quelli comunque problematici con amici, editori e gerarchi-intellettuali fascisti.
C’è la chiusura finale che in modo esplicito dà credito alla tesi dell’omicidio a sfondo politico. Inizia parafrasando il celebre passo della Veronesi sulla fine di Persico. La sera del 10 gennaio esce dalla redazione di «Casabella» con due amiche molto preoccupate per il suo stato di salute. Viene accompagnato da loro sino al portone di casa.
Si conclude nel momento in cui ritorna a casa dopo aver trascorso qualche ora da Nizzoli. La forma letteraria è senza dubbio efficace. A pochi metri dal portone, due uomini, sbucati dall’oscurità, lo affiancano. Alla luce di un lampione, Edoardo li riconosce. Sono i due che l’hanno massacrato nella cella di San Vittore. «Dobbiamo parlarti», dice uno dei due. “Andiamo su da te”.
Edoardo infila la chiave nel portone. La mano non gli trema. Improvvisa una preghiera dimenticata gli erompe dal cuore, sale a fior di labbra. Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, dona nobis pacem. Sarà esaudito.
Per completezza di informazioni sul contenuto del libro, va aggiunto che le 165 pagine contengono disegni e foto di Persico e delle sue opere e una bibliografia curata da Pasquale Guadagnolo, presenza del tutto inedita in un romanzo, tale ancor di più per la sua forma estesa che presenta tuttavia omissioni che non possono non essere segnalate.
Come ad esempio il saggio L’ idea di architettura. Storia della critica d’arte da Viollet le Duc a Persico di Renato De Fusco del 1964, che non è uno dei tanti contributi su Persico ma il primo ad inquadrare sistematicamente il suo pensiero nel novero della critica d’arte italiana ed europea.
Le recensioni
La rassegna stampa del romanzo riportata nel sito della casa editrice Skira e consultata nel luglio di quest’anno elenca circa 30 titoli tra recensioni vere e proprie, locandine e citazioni. In questa sede se ne prenderanno in rapida consultazione quelle più pertinenti all’ambito della critica d’arte e d’architettura.
Cesare de Seta interviene su “la Repubblica” con una ferma stroncatura redatta con ficcante puntigliosità e con incisi da far gelare (Mariani, che spedì Pagano «volontario» a Mauthausen, ebbe le carte). Per quanto Camilleri si sforzi di convincerci che il romanzo non è una biografia, per de Seta lo è e ricorda con Croce che per far biografia è necessario avere simpatia per il soggetto, sentimento qui, con tutta evidenza, assente.
Svela un’interessata omissione di Camilleri perché non funzionale al quadro indiziario che ricostruisce: nel romanzo la Mazzucchelli rivela a Peirce il suo sospetto sulla matrice politica della morte di Persico e da qui prende corpo e autorevolezza la ridda di voci che entra dentro «Casabella».
La smentita di queste confidenze è netta: la signora smentì quando le lesse travisate, e lettere indignate sono nei documenti che la signora depositò alla Biblioteca Centrale di Roma nel 1986. Imputa all’autore di non essersi avvalso delle testimonianze di una settantina di intellettuali di rango che alla sua morte lo ricordano con parole commosse e devote e del «bellissimo epistolario» che svela un Persico debole di carattere ma lontano dal delatore adombrato nel libro.
Leggendo le pagine del romanzo si ha il fondato sospetto che Camilleri l’abbia scambiato per Pjotr Verchovenskij di Dostoewskij. Il contrappunto a questo elenco di falsità e illazioni ambiguamente validate nel romanzo è rappresentato dall’apertura della recensione, laddove Persico è definito il più geniale critico d’architettura attivo negli anni Trenta, e non solo in Italia.
Fulvio Irace manifesta un’eloquente ritrosia a parlarne diffusamente attraverso una scelta editoriale che però contiene comunque il giudizio sul libro in esame. Su «Il Sole 24 ore» pubblica le recensioni dei due libri di Skira dedicati a Persico, il romanzo e la ripubblicazione di quattro testi.Per sé riserva quest’ultimo e lascia a Giuseppe Lupo il commento sul primo (decisamente positivo, con punte di enfasi e virate verso l’entusiasmo).
In un inciso, con riferimento alla nota raccolta degli scritti di Persico pubblicata dalla Veronesi, Irace scrive: Di questo corpus – che costituisce di Persico l’unico «labirinto» di cui ci interessa veramente dipanare il filo – i quattro testi ripubblicati da Skira sono alcuni dei più significativi per il tono argomentativo che li rende più vicini al saggio breve che allo scritto d’occasione.
Fin troppo evidente il suo disinteresse per il labirinto di Camilleri. Rilancia invece un altro argomento difficile, i rapporti di Persico con «Casabella», osservando come i quattro saggi ripubblicati – il suo più implacabile j’accuse all’architettura italiana – non siano stati originariamente ospitati sulla rivista diretta dal diffidente amico Giuseppe Pagano.
Maurizio Di Puolo e Flaminio Gualdoni propongono un’analoga staffetta su «Il Giornale dell’Arte». Di Puolo, come s’è detto, è stato per Camilleri l’ispiratore del romanzo. Il suo intervento è breve, per giudicare positivamente il labirinto costruito da Camilleri ma non raccontare ai lettori il finale, anche perché in quel labirinto di ricerche ci sono passato e mi domando ancora se ne sono uscito.
Anche Gualdoni esprime favore incondizionato, scrivendo tra l’altro che Camilleri ci offre una spiegazione di straordinaria suggestione. Non meno credibile, va detto, di quelle effettivamente circolate sinora. In realtà, Camilleri non inventa nessun’altra spiegazione che fino ad oggi non sia circolata su Persico. Si limita a dar credito ad alcune di esse nella parte romanzata del libro.
Quanto alla credibilità, la parola è del tutto fuori luogo. Neppure Camilleri ha avuto questa ambizione.
Renato Nicolini poche settimane prima della sua scomparsa dedica una sua Cartolina al libro nella rubrica che da anni cura per la preS/Tletter di Luigi Prestinenza Puglisi.
Ammette che il critico d’arte napoletano abbia avuto una vita privata ambigua e certamente non lineare ma sembra restio ad entrare nel labirinto proposto da Camilleri: Dieci capitoli di dubbi, d’interrogativi, di contraddizioni che alla fine il padre di Montalbano risolve scegliendo letterariamente la leggenda rossa di Persico come nemmeno Giulia Veronesi aveva fatto…Persico antifascista e martire…Io preferisco vederlo come il più lucido critico dell’architettura italiana del ‘900.
Maurizio Cecchetti dedica al libro un lungo intervento su «Avvenire». Riconosce che Camilleri non ha sciolto nessun enigma e rilancia scrivendo che l’enigma, quello vero, è costituito dalle carte mancanti dell’archivio Persico. C’era qualcuno, e forse c’è ancora, che sa come stanno le cose, e magari ha in mano documenti che potrebbero aiutare a diradare le ombre.
Più oltre, questo qualcuno prende il nome di Mariani in una ineccepibile ricostruzione dei prestiti e spostamenti delle carte riguardanti Persico.
Questa sintetica rassegna delle recensioni del libro si chiude con quella apparsa su «Casabella». In un breve Editoriale si riassume il contenuto del romanzo e poi si commenta.
Così facendo (Camilleri) non solo è giunto a spiegare come Persico morì, ma anche perché la sua tragica fine sia stata la conseguenza quasi inevitabile della sua contraddittoria personalità, delle sue tormentate vicende personali, della sua eterodossa cultura. Da tutto ciò è derivato un ritratto intellettuale di cui d’ora in poi dovranno tener conto quanti vorranno conoscere più approfonditamente quale contributo Persico diede alla cultura non soltanto architettonica del Novecento in Italia.
Seguono la pubblicazione in anteprima di alcune pagine del libro e la riproposta del ricordo di Persico che la rivista presentò nel numero 97 del gennaio 1936. Nessun accenno viene fatto alle ipotesi – non lusinghiere – sul comportamento della redazione della rivista all’indomani della morte del suo condirettore.
Non ci si aspettava dall’Editoriale una difesa d’ufficio né si tratta di cimentarsi con verità storiche, convenienti o imbarazzanti che siano, che sono sempre argomenti e espressioni da maneggiare con estrema prudenza. Si tratta più semplicemente di «dire la propria» (opinione, versione dei fatti) su una tra le più gravi tra le tante illazioni che hanno afflitto la biografia di Persico e che il libro ripropone con calibrata ambiguità.
Quanto infine all’assoluta necessità che d’ora in avanti tutti coloro che vorranno approfondire Persico non potranno non tener conto del «ritratto intellettuale» rappresentato nel romanzo, ebbene, questo è giudizio molto difficile da condividere, considerando da un lato alcuni tra i nomi di coloro che fino ad oggi si sono occupati di Persico – Giolli, Gatto, Vittorini, Veronesi, Mazzucchelli, Zevi, Tentori, De Fusco, de Seta, Canella – e dall’altro un narratore italiano, grande e geniale, ma pur sempre un narratore che scrive un romanzo, senza alcuna pretesa di innovare criticamente una biografia.
tratto dal numero 145