Confronto critico tra Victor Papanek e Alain Findeli

MARIA ANTONIETTA SBORDONE
Premessa

Il filo conduttore dei temi del confronto è rintracciabile nel significato originario della professione del designer e nella evoluzione teorico-critica interna alla disciplina; ai caratteri che ne costituiscono il senso, trasmissibili attraverso modelli teorici nel campo della critica e della ricerca, si affiancano approcci metodologici utili nella pratica professionale del designer.
Il quadro generale di riferimento accomuna le diverse posizioni che, sebbene con diversi gradi di astrazione e caratterizzazioni specifiche, e fondandosi su criteri – nella loro valenza oggettiva – attribuibili ad una moltitudine di azioni, influiscono direttamente nella pratica e sulla teoria del Design.

Il tema della sostenibilità, ad esempio, quando ancora non individuato nella sua attuale organica complessità, e andava ancora definendosi per gradi, transitava da una prima idea di adattabilità delle azioni ai contesti, ad una che dell’appropriatezza valutava gli impatti, approdando poi a categoria generale di riferimento.
Il tema del design in Papanek è incentrato sulla sostenibilità della pratica del Designer, risultato di una preventiva “sostenibilità degli intenti”, secondo il presupposto che il progettare ha come scopo di “imporre un ordine significativo” in senso ampio; mentre in Findeli si condensa nella dimensione intangibile della “sostenibilità delle relazioni” tra diversi ambiti, per configurare un ecosistema di interazioni complesse.

I presupposti di Papanek hanno origine nella consapevolezza di una “mancanza di impegno sociale nella progettazione”, delineando una zona d’ombra che si frappone tra il designer e l’individuazione dei veri bisogni delle persone, “delle effettive e reali necessità”, relegandolo al ruolo di disegnatore per una minoranza di addicted.
Per A. Findeli, le questioni di fondo hanno origine nelle domande ricorrenti relative al significato, alla natura, al ruolo, al senso, alle logiche e ai valori sui quali riposa l’“atto del design” e concretamente significa dare una risposta su quali sono “i concetti del progetto di design che determinano, inquadrano, regolano o giustificano” la disseminazione del pensiero e l’indagine sui modelli del Design.

Ecosistema dei contesti umani. La sostenibilità dell’agire del designer

Il tema dell’agire del designer è centrale nella trattazione di Viktor Papanek e il saggio “Progettare per il mondo reale”, dall’illuminante sottotilo, “Il design: come è e come potrebbe essere”, apre alla critica sul fare design e formula azioni concrete da intraprendere per progettare tenendo conto delle necessità delle persone e dei valori emergenti nella società. Se l’origine del fare è la progettazione, questa deve ritornare nel suo alveo originario; deve cioè essere “significativa”, ponendosi al di sopra delle categorie del “bello”, del “brutto”, dell’“astratto”, del “carino”, vincolandosi, quindi a ciò che è la “funzione”, pur infrangendo la formula bauhausiana che “tutto ciò che funziona si presenta bene”. Lo schema del “complesso funzionale”1 chiarisce i legami tra il valore estetico e la funzione dell’oggetto: le sei parti che compongono il complesso funzionale, vertici di un esagono, sono l’uso, la necessità, la telesis, l’associazione, l’estetica, e il metodo, al centro, all’intersezione dei segmenti che congiungono i vertici, si trova la funzione.

Alla stregua di un convitato di pietra, la funzione, pivot intorno al quale il complesso funzionale agisce, orienterà d’ora in avanti la progettazione che non può ignorare i dati di partenza per trasformare in modo consapevole “l’ambiente umano, i suoi strumenti e, per estensione, l’uomo stesso”2. Sebbene, all’inizio della storia del disegno industriale, il progettista/designer si preoccupa prevalentemente dell’accettazione fisica del prodotto da parte del suo pubblico3, la percezione delle qualità del prodotto passa in prima istanza attraverso una sorta di “bellezza appropriata”4. Nei decenni successivi diventerà terreno di scontro, laddove l’estetica bauhausiana formulerà i criteri del gusto nell’era della produzione industriale. Assicurati, quindi, i canoni estetici del design del prodotto industriale, il passo successivo si focalizza sull’accettabilità sociale5, rivolta ad un consumo di massa assoggettato alle tecniche persuasive del marketing generatore di due effetti: “lo styling e l’obsolescenza”6.

Definite le dinamiche dello styling e dei vari gradi e tipi di obsolescenza7, rilevabili ed estendibili in relazione ai tempi e ai loro contenuti (formali, tecnici e di uso), Papanek rileva un passaggio fondamentale nella pratica del designer che si discosta sempre più dai veri bisogni delle persone. Negli anni ’60 si radicalizza in modo drammatico
il divario tra le classi sociali, i meno abbienti diventano i senza-diritti, intere fasce della popolazione vivono ai margini della società e nel resto del mondo, intere Nazioni chiedono beni di prima necessità. Nell’Occidente post-industriale si ridefiniscono le categorie dei bisogni che passano dai bisogni di base (basic needs), ai bisogni sofisticati (sophisitcated needs); si approda ai bisogni latenti (latent needs) per l’analisi dei quali bisogna riconsiderare fattori elementari come la qualità dell’aria, la qualità e quantità dell’acqua e l’aspirazione ad una qualità della vita che dipende dal tempo di cui si dispone per l’acquisizione di esperienze e conoscenza.

Il designer assoggettato alle dinamiche culturali e tecnologiche della crescente “coca-colonizzazione” del mondo, è di fronte all’assunzione di responsabilità etica per colmare “la mancanza di impegno sociale nella progettazione”8. Uno schema riproduce l’impegno del designer in campo sociale, un triangolo dove una piccola area, relegata nel vertice superiore, definisce il “campo del progettista” a scapito della quasi totalità dell’area del triangolo che rappresenta il “problema reale”. Il riesame di Papanek dei bisogni della società rimette in discussione il valore e l’impegno del designer industriale; fermo restando l’approccio progettuale classico, il designer con la sua capacità creativa dovrebbe focalizzarsi su “speciali gruppi di bisogni” che derivano dal vivere “tutti nel paese della mente umana”.

L’uomo e i suoi bisogni, riportati al centro della progettazione, oggi sono un dato acquisito, soprattutto se si pensa alle dinamiche di co-design dove l’utente è integrato nel processo di progettazione e dove ciascuno esprime il proprio bisogno “speciale”. Papanek anticipa quello che poi sarà il Design Thinking che stabilisce l’approccio all’innovazione Human-Oriented, conseguenza dello User-Centered Design, calato nel sociale, nei contesti di vita, dove il benessere si valuta secondo parametri dinamici; derivanti dall’emergere di problematiche che trovano nella discussione, nella conoscenza e nella condivisione, una prima risposta al problema, recepita poi nella fase creativa dove all’ascolto fa seguito l’azione.

Il concetto di valore in Papanek

Il concetto di valore, in “La civiltà del Kleenex”9 è un nodo centrale nella trattazione essendo un elemento su cui riflettere soprattutto in relazione al fenomeno dell’obsolescenza e per converso della persistenza di un prodotto nel breve e nel lungo termine. Papanek introduce il concetto di obsolescenza programmata riportando il termine “forzata”, conseguenza delle logiche della produzione e di marketing che inducono a disfarsi degli oggetti dopo il loro ciclo di vita. Per estensione sono coinvolti non solo i beni di consumo, ma “la maggior parte dei valori umani come qualcosa di cui disfarsi dopo l’uso (…). Gettare via i mobili, i mezzi di trasporto, i vestiti e gli elettrodomestici, può presto portarci a pensare che i matrimoni (e gli altri rapporti personali) siano articoli da buttar via e che su scala globale le nazioni, e magari anche interi subcontinenti, sono da buttar via come il Kleenex”10. Il concetto di valore in Papanek è riconducibile al modello della “triade delle limitazioni” di Robert Lindner11.

Secondo questo modello l’uomo, durante la sua esistenza, cerca disperatamente con le sue azioni di spezzare i vincoli imposti dal triangolo di ferro nel quale è imprigionato, trattandosi di barriere di varia natura: dalla conquista del suo habitat naturale; al superamento delle “limitazioni imposte dall’equipaggiamento biologico”; fino alla conquista della longevità “se non dell’immortalità”12. Misurando ogni conquista attraverso il concetto di progresso che in questa accezione è inteso come superamento dei limiti imposti e “in base ad esso la sola esistenza di una persona, le attività e gli scopi di un gruppo, persino le conquiste di una cultura, possono essere stimate e considerate nel loro giusto valore”13.

Lo scopo dell’adozione del modello della “triade delle limitazioni” è di poterlo usare come 14. Cosicché ogni progetto o prodotto è passibile di autovalutazione in base alle performance e al reale impatto che ha nel contesto di vita per il quale è stato pensato, determinandone il grado di utilità in relazione al perseguimento del bene comune. La trattazione che segue è incentrata su vari argomenti, tra i quali l’utilità dell’automobile; sebbene in origine realizzi il superamento della triade, con il passare del tempo, diventa uno status symbol sovraccarico di “falsi valori” che ne hanno offuscato il significato e lo scopo. L’argomento cardine per Papanek è l’impegno sociale e il valore del progetto di design che risiede nell’assunzione della responsabilità nel superamento della dicotomia in auge, di un mondo fatto di superproduzione e di sottonutrizione.

Bilanciare i due termini ha implicazioni politiche ed economiche di portata internazionale, il designer può dare valore al proprio atto progettuale adottando un comportamento che evolve dal: “trascorrere un po’ di tempo nel paese sottosviluppato e di elaborare lì i progetti veramente adatti ai bisogni della gente del posto”15; il designer va nel paese sottosviluppato e addestra i designers locali; fino a che il designer si trasferisce nel paese e insegnerà ai designer a educarne di nuovi, “in altre parole diventerà un progetto-seme”, si tratta di un tipo di progettazione che mette in piedi un programma e che diventa immediatamente operativo.

Il processo progettuale del design in Findeli o il modello dell’“eclisse dell’oggetto”

In Findeli il design è parte dell’evoluzione dei sistemi sociali, quindi è un elemento costitutivo, affatto estraneo ai fenomeni ad esso collegati (prodotti di design, pratica del design, ecc.), ne discende che la teoria del design si fonda, senza equivoci, sul rendere più intellegibile l’atto del design. Difatti, l’intellegibilità è indispensabile alla costruzione dell’insegnamento del design che si basa su un tipo di attività riflessiva “per fecondare l’attività pratica essendo la riflessione teorica situazionista propria dei professionisti illuminati”16.

Il modello de “L’eclipse de l’objet dans les theories du projet en Design”, per l’autore è un tentativo di riorganizzare le teorie sul progetto di design esistenti e ricavarne una sintesi utile come strumento cognitivo che indicizzi gli elementi non immediatamente intellegibili. Per Findeli è necessario fornirsi di strumenti che aiutino i giovani designer ad individuare e a selezionare elementi quali: “la corretta successione delle logiche adottate (analogia, deduzione, abduzione, ecc.), le finalità che motivano gli iniziatori del progetto, i conflitti di razionalità e di valori su cui si basa, la gerarchia delle problematiche di cui è oggetto, la giustificazione delle scelte metodologiche, tecnologiche, estetiche ed altro, i limiti del contesto epistemologico adottato, ecc.”17. Il modello tipologico de l’eclisse de l’oggetto ha delle condizioni iniziali con una successione tipologica (attori, processo e oggetto) percorribili a monte e a valle.

Caratteristica di tutti i progetti di design è la “cerniera” (a valle dell’oggetto) fase in cui avviene la consegna o ricezione dell’oggetto o del prodotto del progetto, “a partire dalla quale il processo diventa irreversibile e cambia radicalmente di regime: passa dal regime della concezione al regime della ricezione (o dell’appropriazione e uso)”18. Naturalmente questa dinamica è propria al design del prodotto (prima il progetto, la realizzazione, l’acquisizione epoi l’uso), non vale più se già pensiamo al design dei servizi e al co-design, o agli oggetti immateriali come i software o addirittura quelli open source la cui progettazione è condivisa e non vi è più autorialità distinguibile.

A monte dell’oggetto, e cioè nello spazio della concezione e della progettazione, le teorie che si sono succedute sono incentrate sull’oggetto, poi sui processi, per confluire in quelle che si concentrano sugli attori del progetto. A valle dell’oggetto, il centro di interesse si riposiziona dall’oggetto alle sue funzioni, di recente verso l’esperienza o, ancora sui contesti di vita degli utenti. Il modello così definito è stato poi sperimentato in sede didattica, seminariale e professionale, sia per produrre design, sia nell’osservazione e nella descrizione del fare design.

Inoltre, essendo l’interpretazione del modello molto ampia (semiologica, sistemica ed evoluzionista, socio-critica), nell’economia del presente saggio ripercorriamo l’interpretazione filosofica che Findeli propone come la più completa per meglio coglierne la complessità. In un primo momento il modello costituito da tre focus (tipi), “l’oggetto, i processi e gli attori”, asseconda l’idea di fondare la pratica e la teoria del design affidandosi alle discipline scientifiche che per ognuno dei focus ne descrive i caratteri e ne amplifica le possibilità: per l’oggetto ci si “appoggia principalmente all’estetica, alla tecnologia, alla scienza dei materiali (…) e alle arti applicate per rendere conto delle proprietà degli oggetti; per descrivere e comprendere in maniera più scientifica possibile i processi messi in atto nella conduzione del progetto di design, è richiesto l’apporto della logica matematica, così che delle scienze umane e sociali nella loro versione behavioriste (…); quanto agli attori, si fa affidamento lo stesso alle scienze antropo-sociali, nella loro veste interpretativa, fenomenologica e qualitativa (…), alla sociologia delle organizzazioni, (…) all’antropologia culturale, etc.”19.

In seguito Findeli dichiara che il modello, così configurato, aumenta i gradi di complessità tale da perdere l’originaria freschezza intellettuale, sicché, “piuttosto che l’ancoraggio alle diverse discipline scientifiche, si individuò una lettura filosofica”. Una sorta di trasposizione dei “grandi temi della filosofia moderna, oramai dei classici, come quelli utilizzati da Kant (ragione pura o logica, ragione pratica o etica, giudizio sul gusto o estetica)”, che associati ai tre focus (tipi), non snaturano l’idea del modello pervenendo alle seguenti associazioni; l’oggetto è il campo privilegiato dell’estetica, i processi e le funzioni sono di dominio della logica, gli attori, da una parte con le loro interazioni, e dall’altra con i modi di vita degli utenti, sono campo dell’etica. L’interpretazione del modello e la sua sperimentazione hanno messo in luce un elemento che induce a nuove riflessioni ovvero il modello può predire la sua futura evoluzione?

In risposta si prefigurano due scenari, ognuno dei quali è suscettibile di evolvere verso una pratica del design che si inquadra indiscutibilmente nel quadro dello sviluppo sostenibile, in particolare nel suo aspetto sociale di pratica responsabile. Il modello, in relazione alla tradizione filosofica moderna, risulta completo ed esaustivo e dopo aver preso atto della sua caratterizzazione e della sua passata evoluzione, Findeli azzarda una sua previsione futura: “il primo scenario ci racconta della possibilità che si realizzi una “sorta di meta-estetica. Diversi indizi ci invitano a considerare un tale scenario, tra cui l’apparizione di un forte interesse per la filosofia estetica (…). Nel campo del design si assiste da una parte alla scomparsa di tabou imposti dai modernisti per qualsiasi approccio estetico autonomo, d’altra parte ad un tentativo di mettere fine alla deviazione della filosofia estetica in favore del solo ambito dell’arte (l’estetica è una dimensione antropologica fondamentale che si esercita in ogni ambito umano, non solo nei musei e nelle gallerie d’arte)”20.

Per Findeli la meta-estetica si dispone ad integrare in un atto unitario l’estetica, la logica e l’etica, ai quali corrispondono nel modello, rispettivamente, l’oggetto, i processi e gli utilizzatori, per dare vita “all’atto del design e del suo utilizzo come esperienze umane complete e belle”. Findeli cerca di definire la meta-estetica o estetica generale dell’atto di design e del suo utilizzo (o utilizzazione) non come una teoria dell’azione bensì come un orizzonte di senso del processo del design. Ipotesi che fa rabbrividire chi come “Paul Ricœur considera “mortali” o “pericolose simili affermazioni perché non immaginano che possa realizzarsi l’idea di una scienza della prassi umana”; Findeli riporta quanto Ricœur afferma in merito; “poche idee sono oggipiù salubri e più liberatorie dell’idea che ci sia una ragione pratica, ma non una scienza della pratica (Ricœur 1986)”21.

Il secondo scenario previsto da Findeli, parte dall’osservazione secondo cui “la filosofia moderna si è strutturata in reazione a quella che la precedeva che considerava la teologia come la ‘filosofia principe’ (…)”. Nel tempo, ed in considerazione del fatto che è stata diluita o integrata negli altri campi dalla tradizione moderna, in varie forme, Findeli afferma che l’“onto-teologia e la metafisica” sono state considerate, nel primo caso, non “specifica della filosofia della scienza e nel secondo si è stimato che la questione ontolo-
gica poteva essere confidata esclusivamente alla ragione scientifica. (…)”. Il risultato che ne consegue è che grazie all’anti modernismo del postmoderno, l’onto-teologia è riapparsa e secondo Findeli dà luogo al secondo scenario: “se dunque si completa il paesaggio filosofico secondo questa dinamica, è consentito di includere nel modello (dell’eclissi dell’oggetto) l’ontologia e l’antropologia, in seno
alle quali si evidenziano nuove posizioni ancora più fondamentali che non nello scenario dove emergono le questioni estetiche.
Tra queste figurano ad esempio: l’esperienza del progetto è un’esperienza umana fondamentale? Quali sono le spinte per iniziare un progetto? Chi è il responsabile del progetto? Dove l’animo umano trae ispirazione creativa? Il nostro rapporto con il mondo è esclusivamente d’uso? Qual è il nostro comportamento quando acquisiamo un nuovo oggetto? Qual è la natura profonda del mondo artificiale? ecc.”22.

Il modello dell’eclisse dell’oggetto pone in evidenza lo spostamento del centro di interesse dall’oggetto verso un sistema di relazioni complesso e strettamente interrelato: in prima istanza alle strutture metodologiche che fondano l’azione progettuale e l’esperienza d’uso; all’ecologia generale delle azioni incentrata sugli attori; inoltre, in una visione prospettica, il centro si sposta sia verso un’estetica generale del progetto di design, sia verso un approfondimento ontologico dell’esperienza del progetto, da un punto di vista del progetto di design che del progetto d’uso, ovvero dell’“antropologia dell’uso del modo artificiale” (esperienza d’uso).

Conclusioni. Approdi Design Thinking e confluenze Human Design

Il confronto tra i due autori se da un lato, mette in luce le differenze del dato di partenza, filosofico in Findeli, pragmatico in Papanek, approda a considerazioni e riflessioni con diversi gradi di approfondimento che conducono entrambe a confluenze inaspettate sulle prospettive progettuali e metodologiche del fare e pensare nel design. Si individuano posizioni discordanti, tra le quali quelle che riguardano il valore estetico che in Papanek, seppure, abbia un carattere relazionale, inserito all’interno dello schema del “complesso funzionale”23, laddove le sei parti che compongono il complesso funzionale, – l’uso, la necessità, la telesis, l’associazione, l’estetica, e il metodo – ruotano intorno alla funzione, centro dove agisce il complesso funzionale che orienta la progettazione e dove l’estetica è un valore relazione che non ha capacità proprie preordinate.

Mentre in Findeli si presuppone uno scenario dove la meta-estetica agisce in maniera preordinata; Findeli, infatti, introduce la definizione di meta-estetica o estetica generale dell’atto di design e di utilizzo (o utilizzazione) non come una teoria dell’azione o subordinata alla funzione come in Papanek, bensì come un orizzonte di senso del processo del design che contribuisce ad affermarsi come nodo problematico ed autonomo nella metodologia del design e nell’agire del designer.

Le confluenze individuate portano al contenuto del fare design che in Papanek si apre verso la responsabilità etica e sociale, dove l’azione del designer può influire sulla riconsiderazione dei bisogni in Occidente e nei Paesi Terzi. Il ruolo del design nella pratica progettuale deve predisporsi all’ascolto delle esigenze degli utenti, individuare i “bisogni speciali” di cui la società è portatrice, ed incanalare le aspettative degli utenti verso l’etica delle azioni progettuali.

L’idea è incentrata sull’agire secondo il principio di spezzare i vincoli definiti dal modello della “triade delle limitazioni” ed aiutare a sviluppare le abilità di ognuno con lo scopo di creare, nel caso della progettazione per i Paesi in via di sviluppo, dei “progetti-seme”; si crea una sorta di vivaio di buone prassi condotte dalle popolazioni locali, innestando un processo di autodeterminazione per lo sviluppo locale sostenibile e responsabile. Il modello della “triade delle limitazioni” si concede per essere utilizzato come una sorta di screening per ogni progetto o prodotto realizzato, determinandone il grado di utilità in relazione al perseguimento del bene comune che suggerisce, da una parte, i criteri per una più consapevole e giusta progettazione e dall’altra, considera le capacità creative ed intuitive delle persone che l’hanno adottato e che interagiscono e con esso.

Findeli nel caso della dimensione sociale del ruolo del designer e della responsabilità diretta del designer, dichiara
che la sfera del sociale non è un dato del progetto di design, bensì è il design parte integrante dell’evoluzione dei sistemi sociali. Il design, quindi, è un elemento costitutivo della società, e come tale ne discende che la teoria del design ha lo scopo di rendere intellegibile l’atto del design alla stregua di un qualsiasi processo con cui si identifica un settore disciplinare. Prosegue affermando che il modello de “L’eclipse de l’objet dans les theories du projet en Design” è stabilito con lo scopo di riannodare le maglie delle maggiori teorie sul design storicizzate e in voga, per affermare che esistono degli scenari sul design con fondamenti filosofici e che in ambito scientifico la disciplina può avvalersi o meno del riconoscimento, evidenziando che la caratterizzazione del metodo porta inevitabilmente a porsi delle questioni su un dato essenziale: se la meta-estetica si dispone ad integrare in un atto unitario l’estetica, la logica e l’etica, per dare vita “all’atto del design e di utilizzo come esperienze umane complete e belle”, allora perché non fondare la meta-estetica o estetica generale “dell’atto di design e di utilizzo (o utilizzazione)” non come una teoria dell’azione bensì, come una “scienza della prassi umana”?

Sfatando l’assunto (Ricœur 1986) secondo il quale va bene che ci sia l’idea di una ragione pratica, ma non una scienza della pratica, alla quale Findeli tende con la caratterizzazione del design attraverso il suo modello. Entrambi gli autori considerano la sostenibilità dell’agire del designer e dello scopo ultimo del design come l’attuazione più ampia dei temi della sostenibilità; inducono a considerare temi progettuali mutuati dalla progettazione ambientale (biomimetica) e dall’astrarsi sempre più dalla dimensione materiale dell’oggetto per approdare ad una società liberata dai vincoli della proprietà per sviluppare attitudini progettuali che consentono l’uso dei beni condiviso.

Bibliografia
V. Papanek, Progettare per il mondo reale. Il design: come è e come potrebbe essere, Mondadori Editore, 1973.
A. Findeli, L’eclipse de l’objet dans les theories due projet en Design, The Design Journal, vol. 8, 2005.


1.V. Papanek, Progettare per il mondo reale, p. 18.
2.V. Papanek, op. cit., p. 33.
3. H. Dreyfuss in proposito scrive “Se il punto di contatto tra prodotto e pubblico diventa punto di attrito, allora il disegnatore industriale avrà fallito il suo compito”, in Designing for people, Simon & Schuster, New York, 1955.
4. V. Papanek, op. cit., p. 35.
5. H. Van Doren definisce l’industrial design come “la pratica di analizzare, creare, ed elaborare prodotti per la produzione di massa. Il suo scopo è inventare forme che possano (…) essere accettate (…)”, rivista “Industrial Design”, Mac Graw Hill, New York 1954.
6. V. Papanek, op. cit., p. 39.
7. V. Papanek inidividua tre tipi di obsolescenza “tecnologica, materiale e artificiale”, p. 39.
8. V. Papanek, op. cit., p. 58.
9. V. Papanek, op. cit., p. 83.
10. V. Papanek, op. cit., p. 84.
11. R. Lindner, Prescription for Rebellion, Reinhart, New York 1952.
12.La triade delle limitazioni è una gabbia triangolare che circonda l’uomo. Ogni faccia è composta da un impedimento: il mezzo con cui l’uomo deve vivere; l’equipaggiamento che ha a disposizione; la mortalità.
13. V. Papanek, op. cit., p. 72.
14. V. Papanek, op. cit., p. 83.
15. V. Papanek, op. cit., p. 82.
16. A. Findeli, L’eclipse de l’objet dans les theories due projet en Design, The Design Journal, vol. 8, 2005.
17. A. Findeli, op. cit., p. 40.
18. A. Findeli, op. cit., p. 43.
19. A. Findeli, op. cit., p. 44.
20. A. Findeli, op. cit., p. 45.
21. A. Findeli, op. cit., p. 46.
22. A. Findeli, op. cit., p. 46.
23. V. Papanek, Progettare per il mondo reale, p. 18.