L’espressione “Movimento Moderno”

GABRIELLA D’AMATO – ITALO PROZILLO
Da anni ormai si parla di crisi del Movimento Moderno, di crisi dell’architettura moderna e, recentemente, di crisi di un più vasto «progetto moderno». Le tre espressioni, specialmente le prime due che sottintendono l’altra, appaiono in vario modo nei libri di storia e, in generale, nella letteratura architettonica relativa alla produzione del nostro secolo.

Vi sono, infatti, autori che parlano specificamente di Movimento Moderno; altri che lo adoperano come sinonimo di architettura moderna e disputano tra loro su quali tendenze ed architetti debbano considerarsi «dentro» o «fuori» di esso; altri ancora distinguono l’architettura moderna intenzionalmente dal Movimento Moderno.
Senza la pretesa di giungere ad esaurienti definizioni delle tre espressioni suddette, ci proponiamo in questo scritto, incentrato soprattutto su quella di Movimento Moderno, di apportare un contributo a chiarimento terminologico sperando che ne consegua anche uno concettuale.
Con l’espressione Movimento Moderno andrebbe precisato, in primo luogo, se si debba intendere: a) un’entità storica ovvero una reale successione di eventi; b) un «artificio storiografico», a sua volta distinguibile in un serio schema metodologico — facente capo, ad esempio, alla nozione di «tipo-ideale» — oppure in una interessata quanto superficiale nozione di comodo; c) un fenomeno che partecipa dell’una e dell’altra natura. Si tratta cioè di stabilire se il Movimento Moderno appartenga alla storia, alla storiografia o ad entrambe.
Per dare una risposta a quegli interrogativi cominciamo con l’analizzare i termini dell’espressione Movimento Moderno. Tra le definizioni date dal Lalande alla parola «movimento» si legge: Mutamento collettivo di idee, opinioni o tendenze; mutamento di organizzazione sociale.
E in un altro autore, Renato Poggioli, si trova che lo sconfinamento al di là dell’arte, questa aspirazione a quella che i Tedeschi dicono una «Weltanschauung», è forse il carattere precipuo onde distinguere, da quelle che si chiamano scuole, quelli che si chiamano movimenti… Movimento è… un termine tecnico, ormai proprio della
storiografia artistica e della critica letteraria, in quanto l’una e l’altra sono storia concreta e critica specifica: e quel che più conta, è termine usato non solo dagli osservatori, ma anche dai protagonisti di quella storia.

In conclusione, come del resto il termine antitetico scuola, esso è molto più che un mero «flatus vocis».
Ripromettendoci di tornare su quel termine, riportiamo alcune definizioni dell’altro più centrale. Il concetto di Moderno — come scrive Habermas in un suo recente articolo — si esprimerà ogni volta come coscienza di un’epoca, che si pone in relazione al passato degli antichi, configurandosi… come risultato del trapasso dal vecchio al nuovo.
E, più avanti, trattando del senso di moderno nell’arte sostiene: L’intenzione di far esplodere la continuità della storia spiega la forza sovversiva di una coscienza estetica che si ribella all’opera di normalizzazione della tradizione; che vive dell’esperienza della ribellione contro ogni normativa… D’altra parte la coscienza del tempo che si articola nell’arte d’avanguardia non è generalmente antistorica; si orienta solo contro la falsa normatività di una comprensione storica formatasi sull’imitazione di modelli.
Si serve dei passati storicamente disponibili ma, nello stesso tempo, si ribella alla neutralizzazione dei canoni praticata dallo storicismo quando chiude la storia nel museo
Prima di procedere oltre nella rassegna terminologica, citiamo un altro autore, Rogers, che, nell’affrontare il tema della crisi del Movimento Moderno — in ciò anticipando il nostro tema specifico — fornisce un significativo giudizio sulla vecchia questione della continuità o della discontinuità della storia.
Considerando la storia come processo, si potrebbe dire che è sempre continuità o sempre crisi a seconda che si vogliano accentuare le permanenze piuttosto che le emergenze; ma, per una più precisa comprensione del discorso, è meglio chiarire intenzionalmente l’interpretazione filologica dei termini che uso: il concetto di continuità implica quello di mutazione nell’ordine di una tradizione.
Crisi è la rottura — rivoluzione —, cioè il momento di discontinuità dovuto all’influenza di fattori nuovi (non reperibili nei momenti precedenti se non come contrari a quelli che scaturiscono, per opposizione, dall’impellente esigenza di novità sostanziali).
Per stabilire il punto della situazione presente (nelle sue possibilità future) occorre approfondire i motivi del Movimento Moderno sceverando quelli che sono sorti per ragioni contingenti e che pertanto hanno avuto una «durée» limitata, da quelli che possono ambire a una più lunga «durée» perché ne implicano i contenuti essenziali.
Il passo citato, che quando accenna alla tradizione si riferisce a quella del Movimento Moderno — grosso modo all’equivalente della «tradizione del nuovo» di H. Rosenberg —, contiene indicazioni utili ancora oggi benché risalga alla prima revoca in dubbio (almeno in Italia) del Movimento Moderno.
Essendo tuttavia ancora lontani da una soddisfacente definizione di Movimento Moderno, riprendiamo la nostra rassegna focalizzando un altro termine: quello di architettura. Quando si parla di «architettura moderna» l’attenzione è concentrata di solito sull’aggettivo «moderna», che dovrebbe esprimere la novità delle esperienze contemporanee rispetto alle precedenti, mentre i cambiamenti più importanti riguardano invece il sostantivo, cioè il significato da dare a questa illustre parola, «architettura», che non può più essere quello tradizionale ereditato dai Greci e fissato nel Rinascimento.
Non ci sentiamo più di considerare l’architettura come una delle «arti» da enumerare assieme alla pittura e alla scultura… perché non siamo più disposti a considerare le diverse funzioni — la funzione economica, quella tecnica, quella espressiva — come divisioni categoriche della realtà, quindi come oggetti di attività socialmente distinte, e riteniamo che i valori figurativi custoditi altre volte in un settore speciale dell’esperienza umana debbano inserirsi, come pausa contemplativa, nelle operazioni cosiddette utilitarie, ed essere assorbiti nel giro dell’esperienza quotidiana.
Meno circoscritta è la definizione che ne dà Hitchcock. Non è stato finora trovato un termine più appropriato di «moderna» per indicare quella che ha finito per essere l’architettura del secolo XX in tutto il mondo occidentale… è un fatto però che a partire dai primissimi anni di questo secolo si possono individuare parecchie linee ininterrotte di sviluppo.
Quasi tutte assumono andamento convergente negli anni ‘20, mentre divergeranno sempre più nei decenni centrali del secolo… È… più aderente ai fatti particolari, considerare l’architettura moderna come derivata dal lavoro singolo di alcuni architetti guida, anziché determinata da una qualche hegeliana necessità storica.
Abbiamo quanto basta per affrontare l’intera espressione Movimento Moderno. Pevsner nel 1936 fa apparire nel titolo del suo celebre libro la dizione in esame. Ma — al di là della periodizzazione, delle origini, dell’inclusione o meno di alcune correnti — ci sembra importante per la definizione di Movimento Moderno un concetto centrale dell’autore inglese: Ben presto, egli (Muthesius) divenne il principale esponente di una nuova corrente verso la «Sachlichkeit», che seguì alla breve fioritura dell’«Art Nouveau». L’intraducibile parola «sachlich», che significa al tempo stesso adatto, pratico e obbiettivo, divenne l’insegna del nascente Movimento Moderno.
Ma oltre questo concetto-chiave è questione definitoria il riconoscere quali tendenze debbano considerarsi comprese nel Movimento Moderno. Pevsner scrive ancora: Gropius si considera seguace di Ruskin e di Morris, di van de Velde e della Werkbund. Così, il ciclo è completo. La storia della teoria artistica dal 1890 alla guerra comprova la tesi… che la fase che va da Morris a Gropius è un’unità storica comprensibile solo come tale. Morris gettò le fondamenta dello stile moderno il cui carattere venne definito soltanto con Gropius.
È evidente che tale brano sembra concludere con l’affermare che per Movimento Moderno si debba intendere tutto quanto è compreso nella parabola che va dalle Arts and Crafts a Gropius: l’opera di Morris, l’Art Nouveau, il Werkbund, quello che sarà definito Protorazionalismo, fino al razionalismo gropiusiano. Detto questo però rimane il dubbio che tale parabola sia da limitare ai soli pionieri del Movimento Moderno.
Giedion, anche se ambiguamente omette alcune tendenze e non parla esplicitamente di Movimento Moderno, è tra gli autori più inclusivi. Molto di quanto fu tentato fra il 1890 e il 1930 — egli scrive, infatti — rimane frammentario ed incompiuto; però questo periodo trovò il coraggio di fondare una nuova tradizione autonoma.
E alla domanda quali furono le origini di questo movimento, egli elenca le istanze morali, il progresso tecnologico e l’apporto delle avanguardie figurative; relativamente al tema dell’inclusione, poi, è significativo che nello svolgere il discorso sul Movimento Moderno apra una grande parentesi sul contributo americano dalla scuola di Chicago a Wright, praticamente annoverandoveli.
L’«inclusività» di Rogers — da intendersi in maniera quanto mai estensiva — più che comprendere in una generica vicenda dell’architettura moderna questa o quella tendenza, avanza la tesi della duttilità dei princìpi propri al Movimento Moderno: il grande equivoco sorge quando si persiste a considerare lo «stile» del Movimento Moderno dalle apparenze figurative e non secondo le espressioni di un metodo che ha tentato di stabilire nuove e più chiare relazioni tra i contenuti e le forme, entro la fenomenologia di un processo storico-pragmatico, sempre aperto, che, come esclude ogni apriorismo nella determinazione di quelle relazioni, così non può essere giudicato per schemi.
Ogni approfondimento e ogni allargamento dell’esperienza architettonica che non neghi i fondamenti del metodo intrapreso, devono considerarsi come derivati dalla normale evoluzione di esso, sia che le forme risultanti assomiglino sia che si discostino dagli esempi precedenti.
Viceversa tra gli autori che maggiormente restringono il campo del Movimento Moderno è Benevolo, il quale ne data l’origine al 1919 quando Gropius apre la scuola di Weimar… Le esperienze che sono collocate logicamente prima di quel passaggio — le esperienze di Morris, di Horta, di Wagner, di Hoffmann, di Berlage, di Loos, di Perret, di Sullivan, di Wright — sono interessanti ed importanti, poiché hanno reso possibile la formazione del movimento moderno, ma appartengono ad un altro momento storico, risolvono problemi diversi dai nostri.
Da loro possiamo ricevere nobili esempi ed utili esortazioni, ma Le Corbusier, Gropius, Mies van der Rohe, Jacobsen, Tange, Bakema, hanno cominciato un’esperienza in cui tutti siamo coinvolti e da cui dipende il nostro modo di vivere.
La posizione di Benevolo e di tutti coloro che tendono a distinguere Movimento Moderno da architettura moderna trova un suo fondamento nell’idea basilare di progetto moderno. Questo, formulato nel XVIII secolo dai filosofi dell’Illuminismo, consiste nell’adoperarsi per lo sviluppo delle scienze oggettivanti, delle basi universalistiche della morale, del diritto e della scienza autonoma, ognuna nel proprio senso; ma nello stesso tempo consiste anche nel liberare dalla loro forma esoterica i potenziali cognitivi che così si accumulano, e di usarli per la prassi.
Cioè per una creazione razionale di tutte le condizioni di vita. Illuministi del tipo di un Condorcet avevano ancora l’aspettativa entusiastica che le arti e le scienze dovessero promuovere non solo il controllo delle forze naturali, ma anche la determinazione dell’io e del mondo, il progresso morale, la giustizia delle istituzioni e persino la felicità degli uomini. Nel XX secolo è rimasto molto di questo ottimismo.
Ma il problema è rimasto lo stesso, allora come adesso gli spiriti si dividono da una parte in coloro che continuano, anche se in modo incrinato, a rimanere fedeli al progetto dell’Illuminismo; e dall’altra in coloro che danno come perso il progetto moderno.
Trasferendo queste considerazioni nel nostro campo e ipotizzando che il Movimento Moderno con i suoi obiettivi razionali, etici e sociali sia l’espressione architettonica del progetto moderno, vi sarebbe chi ancora vi riconosce validità e chi lo darebbe per perduto. Questi ultimi sarebbero giustificati dal fatto che di esso, mancate le premesse, sono cadute le conseguenze, prima fra tutte il conciliato rapporto fra l’arte e la civiltà tecnologica.
Nessuna delle grandi promesse della tecnica industriale nel campo sociale — osserva Argan — è stata mantenuta: non la promessa del libero e pacifico scambio di mezzi e prodotti, non la promessa di una società senza classi, non la promessa della libertà politica ed economica, non la promessa del benessere universale.
Non, soprattutto, la promessa di una società razionale, perfettamente «integrata»: dopo aver creato una grande classe «disintegrata» e «alienata», il proletariato, ha finito per estendere a tutti la desolante «condition ouvrière» descritta da Simone Weil: nessuno è più responsabile di un’iniziativa, di un progetto, di un risultato.
Per queste e numerose altre ragioni il Movimento Moderno avrebbe fallito i suoi scopi; ma in tal caso come intendere l’aggettivo «moderna» che comunque resterebbe associato all’architettura del nostro secolo? Secondo Portoghesi esisterebbero due modi:
Per seppellire i residui devitalizzati dell’arte e del gusto della borghesia ottocentesca, per tagliare i ponti con l’inerzia delle tradizioni accademiche hanno dato il loro contributo due esperienze nettamente differenziate, due tipi di «modernismo»: quello rigoroso e intransigente del Movimento Moderno, (del quale, più oltre, lo stesso autore sostiene che «aveva promesso come contropartita della semplificazione, dell’autonomia, della sterilizzazione, dell’impoverimento della forma, l’assunzione da parte dell’artista e del designer di un ruolo determinante nella trasformazione della società e nel superamento delle sue contraddizioni») …
…e quello più sfumato e cordiale dello «stile moderno» che, prima della sua definitiva sconfitta alla fine degli anni Trenta ha tentato di contrapporre agli stili del passato uno stile moderno dotato di… un proprio linguaggio comunicativo simile nelle finalità e nelle strutture agli altri stili che lo hanno preceduto.
Pur apprezzando la chiarezza riduttiva di questa indicazione, essa ci sembra ancora insufficiente a distinguere nel nostro discorso il Movimento Moderno dall’architettura moderna. E ciò non perché si fa un discorso formale — anzi vedremo che esso sarà ripreso nella nostra tesi — ma perché l’unico denominatore comune tra Movimento Moderno e architettura moderna consisterebbe, in definitiva, solo nella loro contestazione del mondo borghese.
Veniamo, ora, al punto nodale della questione. A meno di non intendere con l’aggettivo «moderno» solo un fenomeno cronologico, un fatto a noi contemporaneo, esso non basta a caratterizzare l’architettura del nostro secolo se non lo si associa al sostantivo «movimento».
Infatti il termine «moderno», come abbiamo visto, ha un uso molto più antico: erano sempre moderni i fatti dell’architettura rispetto al loro passato, eppure ciò non bastava a definirli tali, ma si coniavano espressioni quali Gotico, Rinascimento, Barocco, ecc. donde la necessità di chiamare il nostro «moderno» appunto «Movimento Moderno», essendo inoltre il termine «movimento» connotativo dell’avanguardia, vale a dire dell’avvenimento più specifico della fenomenologia artistica del nostro tempo.
Ma al di là di queste motivazioni terminologiche (gli stessi Maestri del Movimento Moderno amavano definirsi ora razionalisti, ora funzionalisti, ora organici, ecc.) esiste un più fondato motivo che legittima l’espressione suddetta. Bachelard e, dietro di lui, altri autori quali Althusser parlano di «rottura epistemologica» per indicare un mutamento profondo avvenuto nella problematica teorica di una disciplina.
Possiamo estendere questo concetto al verificarsi di una crisi profonda nella produzione architettonica, ovvero uno di quei momenti di forte discontinuità nel processo storico. Ora, quella discontinuità o rottura epistemologica che si è verificata nella vicenda architettonica fra Ottocento e Novecento non è stata ancora seguita — tranne flussi e riflussi di tendenze, alternanze di moti del gusto, epifenomeni di polemiche elitarie, ecc. — da una seconda ed altrettanto significativa soluzione di continuità.
Finché non si sarà verificato un evento del genere dobbiamo considerare tutto quanto è accaduto dalla fine del secolo scorso ai nostri giorni, come una fase di continuità — implicante secondo il pensiero di Rogers mutazioni nell’ordine di una tradizione — ed assegnare a detta fase uno specifico nome. Tra quelli che meglio esprimono il concetto suesposto, anche per i già citati rimandi alle avanguardie artistiche non certamente ultimi per importanza, scegliamo, appunto, Movimento Moderno.
In altre parole, in attesa di una seconda, successiva e motivata crisi, se conosciamo il termine a quo, non siamo in grado di indicare quello ad quem si orienta la produzione del nostro secolo. In quest’ottica si ridimensionano sia gli aspetti «eroici» che quelli «aberranti» del Movimento Moderno; ci si affranca dal considerarlo coincidente con una sua sola fase, il Razionalismo; si legittimano, riconoscendone di volta in volta il giusto peso, tutte le tendenze sviluppatesi in questo arco di tempo; si risolvono le tante incertezze ed aporie nel considerare questa o quella corrente «dentro» o «fuori» il Movimento Moderno; si definisce un campo di legittime scelte per le attuali ricerche eclettiche e neo-manieriste.
Come sostiene De Fusco, nella nozione più vasta (che personalmente condivido) e nell’esperienza storica del Movimento Moderno c’è di tutto. Cosicché, se proprio si vuole oggi riproporre una sorta di neo-manierismo o di neo-eclettismo storicistico, nel Movimento Moderno disponiamo di un repertorio tanto vasto da alimentare abbondantemente simili ricerche.
Nel concludere la nostra rassegna rispondiamo agli interrogativi formulati all’inizio. È il Movimento Moderno una successione di eventi realmente accaduti, oppure un «artificio storiografico» nell’accezione positiva dell’espressione, o ancora un fenomeno che partecipa dell’una e dell’altra natura?
Ad eccezione di Tafuri il quale radicalmente sostiene che il Movimento Moderno non è né storia, né storiografia quando afferma: La stessa costruzione del concetto di «movimento moderno», in quanto tentativo di accreditare una collettiva e teleologica dottrina della nuova architettura è frutto di una favola consolatoria ma inoperante, alla prima ipotesi aderiscono tutti coloro che hanno esplicitamente parlato di Movimento Moderno nelle loro storie dell’architettura o in altri saggi (da Pevsner a Benevolo, da Portoghesi a De Seta, ecc.).
Dal canto suo Maldonado sembra optare per la terza ipotesi: I limiti (e le debolezze) del Movimento Moderno già da molto sono stati denunciati, e tra i primi a farlo sono stati i protagonisti del Movimento Moderno stesso. Ma se al Movimento Moderno — tramite certe forzature — si può attribuire una morfologia, è evidente che essa era molto di più di una morfologia.
Era anche e forse principalmente un tentativo di mutare la vita quotidiana. Intendiamoci: siamo perfettamente coscienti del fatto che quella di Movimento Moderno è solo una nozione di comodo, che copre in realtà un ambito di indirizzi e di problematiche estremamente vasto.
Al tempo stesso non si può negare, però, che il termine si riferisce ad una serie di modelli e proposte emersi nell’architettura degli anni ‘20 e ‘30 che sono in qualche modo assimilabili.
Anche per parte nostra quello che chiamiamo Movimento Moderno è sia un reale fatto storico — beninteso angolato dalla visuale di oggi secondo il principio della contemporaneità della storia — che un artificio storiografico. Quanto a considerarlo come un processo storico valgono le riflessioni fatte in precedenza, mentre l’assumerlo come artificio storiografico implica di per sé un distinguere e periodizzare in tutta la storia dell’architettura quella parte a noi contemporanea.
Ma c’è di più, l’uso degli artifici storiografici, ossia le costruzioni tipico-ideali, la riduzione strutturale, gli schemi classificatori, gli espedienti espositivi e didascalici servono validamente ad ordinare una materia apparentemente appiattita ed omologata nell’interpretazione del Movimento Moderno da noi fornita. In altre parole essi servono ad articolare in tendenze, momenti del gusto, scuole, poetiche, revisioni e riprese un processo storico del quale, come si è detto, conosciamo l’inizio ma ignoriamo ancora la fine.
tratto dal numero 52