Nescio quid: riflessi del sublime nell’architettura contemporanera

PAOLA GREGORY
La drammatica iconoclastia di Libeskind, “l’architettura della morte improvvisa” di Coop Himmelblau, la “visione rovesciata” di Eisenman, l’engagement dégagé di tante architetture di Gehry, ma anche la perturbante semplicità di Zumthor, il muto silenzio del Vietnam Veterans Memorial di Maya Lin, la “estetica del miracolo” di Nouvel, il “nulla” o “quasi nulla” del Blur Building di Diller & Scofidio: diverse sono le espressioni che sembrano richiamare, in tempi recenti, una dimensione che potremmo definire “sublime” in architettura, quel nescio quid che fin dai tempi antichi eccedeva la validità normativa dei canoni di gusto, rifiutando di lasciarsi cristallizzare nella chiusura della forma in sé stessa e costringersi nel conformismo di regole e costrutti mentali.

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