Il design scientifico di Alexander

LUCIANA DE ROSA
Nel campo della ricerca teorica e metodologica applicata all’architettura e all’urbanistica, intese, almeno tendenzialmente, come discipline scientifiche, i contributi di carattere globale sono ancora molto limitati, o forse addirittura inesistenti.

Da ciò deriva uno dei principali motivi di interesse della ricerca che Cristopher Alexander va conducendo in questi ultimi anni e che, pur riguardando in modo specifico il campo della metodologia della progettazione e della sua formalizzazione in termini matematici, si basa su una serie di concetti ascrivibili, nel loro insieme, ad altri campi disciplinari.
In queste note analizzeremo alcuni aspetti di questa ricerca, della quale è necessario chiarire in via preliminare l’impostazione generale e gli obiettivi di fondo, che possono apparire, a prima vista, di stretta derivazione razionalista. La razionalizzazione del design, tema di fondo della ricerca di Alexander, si impernia sulla precisazione del concetto di forma; questa, infatti, rappresenta l’oggetto finale del processo di progettazione, ed il campo stesso del nostro intervento.
Riferendosi a D’Arcy Thompson e agli studi di genetica, egli definisce la forma come diagramma di forze che compensano le irregolarità di un campo.
La ragione per cui una limatura di ferro, posta in un campo magnetico, si dispone secondo uno schema – o, come diciamo, assume una forma – è che il campo in cui essa si trova non è omogeneo. Se il mondo fosse totalmente regolare e omogeneo, non vi sarebbero forze, né forme.
Intesa in tal senso, ossia come risultato dell’interazione di un certo numero di forze, la forma individua, nel suo stesso rendersi concreta, un momento di equilibrio dinamico e, quindi, esiste solo se è conforme a leggi fisiche e matematiche. La forma e le sue trasformazioni possono essere descritte come dovute all’azione di forze. Il che significa che, indipendentemente dall’apparenza dell’oggetto, è sempre possibile, in termini teorici, individuare da una forma un sistema di forze e, viceversa, dal sistema di forze è possibile individuare la forma dell’oggetto.
A livello urbanistico, architettonico o di design, il sistema di forze è individuato dal
«contesto». La forma è quella parte del mondo sulla quale noi abbiamo possibilità di controllo, e che decidiamo di modificare. Il contesto è quella parte del mondo che pone le sue esigenze alla forma. Tutto ciò che pone le sue esigenze alla forma è contesto.
Forma e contesto costituiscono la «realtà», che può essere intesa come un «sistema di relazioni», ossia come una intersezione complessa di un numero estremamente elevato di relazioni semplici tra individui e gruppi sociali, e le «forme» della realtà fisica. In termini estremamente ampi, queste relazioni, che includono anche quelle percettive, si possono definire come relazioni funzionali.
In una realtà intesa in tal senso, la città, come luogo in cui il sistema di relazioni «funzionali» trova la sua espressione massima e più complessa, richiede che la propria struttura trovi un’espressione altrettanto complessa. E questa non si realizza certamente negli schemi gerarchici semplici sui quali si basano tutte le nostre «città artificiali».
La caratteristica principale di esse è di essere costituita da un certo numero di unità, individuate in modo univoco e definite in modo rigido, collegate tra loro, da un sistema esterno a esse, in una nuova unità a sua volta collegata con altre unità simili, da un sistema esterno, in una unità più grande. Un’organizzazione del genere è rintracciabile in tutte le città progettate ex novo e nei nuovi piani per le vecchie città, dalle proposte utopistiche, siano esse di derivazione razionalista o organica, al piano di Abercombie per la grande Londra o a quello di Kenzo Tange per Tokio.
Anche la città di Paolo Soleri, la cui forma «organica» ci porta a credere che essa sia una struttura più ricca degli schematici esempi razionalisti, è basata sullo stesso tipo organizzativo. Il centro della città, ad esempio, è diviso in una università e un quartiere residenziale, il quale è a sua volta suddiviso in un certo numero di villaggi per 4.000 abitanti, ciascuno dei quali è suddiviso ulteriormente, e circondato da gruppi di unità residenziali ancora più piccole.
La sua struttura è un albero.

Nello stesso modo, il piano di Tange consiste in una serie di anelli (maglie del sistema viario) che si stendono sulla baia di Tokio. Quattro anelli principali contengono, ciascuno, tre anelli di dimensione intermedia.
Nel secondo degli anelli principali, uno degli anelli intermedi contiene la stazione e un altro il porto.

Tutti gli altri, invece, contengono tre anelli minori, unità residenziali, eccetto il terzo anello principale, che contiene un anello destinato agli uffici amministrativi e un altro destinato alle direzioni delle industrie.
La struttura è un albero».

Coerentemente con la perfetta teorizzazione della idea di città formulata dai razionalisti, ogni elemento unitario, in queste strutture semplici e schematiche, rappresenta la traduzione, in termini fisici, definita e immodificabile, di un complesso di relazioni umane.
Ma la ricchezza e la complessità di una città viva non corrispondono certo a questa semplicità concettuale.
La città, invece, è un organismo articolato e dinamico che si manifesta attraverso fenomeni che ne modificano continuamente il sistema di relazioni. La sua struttura, come quella della nostra società, è estremamente più complessa e raffinata della semplice gerarchia individuata dai razionalisti.
La struttura ipotizzata da Alexander consente qualsiasi tipo di aggregazione e sovrapposizione degli elementi che la costituiscono. Ciascuna unità, formata da un gruppo di elementi, può sovrapporsi ad altre unità e l’area di sovrapposizione, a sua volta, può assumere il ruolo di «unità» ed avere una sua fisionomia. Ogni elemento della città può appartenere, contemporaneamente, a un numero comunque grande di unità che si sovrappongono. Tutte le vecchie città sono articolate su questa struttura, ma non rispondono alle nostre esigenze soltanto perché sono nate per assolvere esigenze completamente diverse.
Del modo in cui questa città complessa si rende concreta, Alexander fornisce solo un esempio sommario, ancora a livello di schema. Tuttavia, in termini concettuali, esso fornisce un’alternativa precisa alla città razionalista, e va quindi inteso come un’utile indicazione per una nuova direzione di ricerca.
In modo coerente con queste impostazioni viene definita, in sede teorica, la progettazione come processo logico di determinazione di una forma che assolva le esigenze del contesto e come invenzione di elementi fisici che determinano un nuovo ordine fisico, un’organizzazione, una forma, che risponda alla funzione, dove questi termini sono da intendersi nelle accezioni precisate sopra.
Da una parte, quindi, viene riconosciuto al progetto un momento «creativo», dall’altra viene individuata l’esigenza di un approccio scientifico che consenta la costruzione di una struttura logica sulla quale basare il momento stesso della invenzione. Ammessa la contemporaneità e la necessità di entrambi, Alexander, riflettendo un’esigenza ormai molto diffusa, afferma l’impossibilità del progettista contemporaneo di cogliere intuitivamente la fitta rete di relazioni che sottende il problema da risolvere e la necessità di approfondire al massimo l’aspetto analitico di tali relazioni.
L’analisi dei problemi del design non è assolutamente possibile in termini intuitivo-naturali. Un grosso preconcetto dei progettisti riguarda l’aspetto deleterio dell’analisi sulle loro capacità intuitive.
Non è difficile capire perché l’introduzione della matematica nella progettazione può rendere inquieti i progettisti.
La matematica, nell’accezione corrente, si occupa di grandezze. Il progettista riconosce, e ciò è vero, che il calcolo di grandezze ha soltanto un’utilità limitata nella invenzione di forme, ed è quindi naturalmente scettico sulla possibilità di basare il design su metodi matematici.
Ma ciò che egli non realizza, comunque, è che la matematica moderna si occupa di questioni di ordine e di relazioni almeno quanto di problemi di grandezza. Ed anche se questo tipo di matematica può essere uno strumento limitato per prevedere la natura fisica della forma, esso diventa molto utile se impiegato per esplorare l’ordine concettuale e lo schema che un problema presenta al progettista.
Tralasciando l’analisi del momento intuitivo, pertanto, che comprende anche la definizione linguistica della forma, la ricerca di Alexander tende all’approfondimento della fase logica e razionale di questa. Il momento conclusivo della progettazione è la forma.
Ma una forma fisica non può essere individuata in modo chiaro se non esiste una chiarezza programmatica nella mente del progettista; e perché ciò sia possibile, questi deve essere in grado di analizzare a fondo il suo problema di progettazione e di individuarne la struttura Questo metodo si basa sull’idea che qualsiasi problema di progettazione comincia con uno sforzo per raggiungere una congruenza tra due entità: la forma in questione e il suo contesto. La forma rappresenta la soluzione del problema; il contesto definisce il problema.
In altre parole, il processo di design implica l’«insieme» di contesto e forma, e la suddivisione si pone soltanto l’obiettivo di individuare quegli aspetti della realtà sui quali il progettista può intervenire in modo diretto. In urbanistica ed in architettura l’«insieme» è rappresentato dalla città e dalle attività di tutti i cittadini. Il complesso di relazioni umane che determinano l’esigenza di nuovi edifici, ad esempio, più l’ambiente fisico costituito dal suolo disponibile, rappresentano il contesto per la forma della crescita della città.
Al limite, è possibile perfino parlare di una cultura stessa come di un insieme in cui le abitudini e i manufatti si evolvono per rendersi congruenti con tutto il resto. Nessun «insieme» è suddivisibile in modo univoco in forma e contesto; in un «insieme» coerente, è ipotizzabile una condizione di congruenza per qualsiasi suddivisione.
Quindi l’insieme si può suddividere più volte e la progettazione dovrebbe sempre avvenire in base a più suddivisioni intrecciate e sovrapposte.
Comunque si articoli la suddivisione dell’«insieme» in contesto e forma, il punto nodale del processo sembra costituito, in sede teorica, dalla definizione del concetto di congruenza.
In modo analogo al concetto di benessere fisico o di normalità psichica, che si riesce a definire soltanto come mancanza di stati patologici o di squilibri, anche quello di congruenza può essere colto attraverso l’individuazione delle possibili situazioni di squilibrio di un «insieme». Cosicché queste servono, a loro volta, a indicare quei fattori modificabili, o sui quali comunque si può agire, che Alexander chiama «variabili». Possiamo, cioè, in un insieme costituito da forma e contesto, individuare tutti quegli elementi («variabili») per i quali può verificarsi una situazione di incongruenza.
Il passaggio da una formulazione positiva a una negativa ci consente non solo di limitare il campo di definizione del contesto, ma anche di superare l’insormontabile difficoltà che si presenta a tutti coloro che tentano di introdurre procedimenti logici o matematici nel processo di progettazione: l’espressione, in termini numerici, ed omogenei, di variabili non quantizzabili.
Per ciascuna variabile, infatti, Alexander individua soltanto due condizioni possibili: congruenza e incongruenza. Il compito del progettista, così, si trasforma da quello di creare una forma che soddisfi un numero praticamente infinito di esigenze poste dal contesto, in quello di creare, nell’insieme costituito da forma e contesto, un ordine tale che tutte le variabili si trovino in una condizione di congruenza. Solo attraverso la forma, che è quella parte dell’insieme sulla quale noi abbiamo possibilità di controllo, possiamo creare un ordine nell’insieme.
Utilizzando quindi il concetto di sistema e quello di incongruenza l’autore individua una stretta corrispondenza tra lo schema del problema, definito come sistema, e la sua soluzione. E identifica processo di progettazione come una suddivisione di questo sistema in sottosistemi o parti, relativamente indipendenti, più piccoli, meno complessi.
Una volta individuata questa suddivisione, il processo di adattamento ella forma al contesto può avvenire gradualmente; perché affrontare il problema nella sua globalità è un compito che, per dimensione e per complessità, va al di là delle capacità del progettista.
La caratteristica strutturale più importante, e più evidente, di ogni entità complessa è la sua articolazione – ossia la densità relativa secondo la quale si raggruppano gli elementi che la compongono. Il programma è una organizzazione gerarchica ordinata di questi elementi, che suddivide ogni problema in sottoproblemi, in modo che le relazioni interne di ciascuno siano molto strette e quelle esterne molto deboli.
Il passo successivo è la costruzione di un diagramma, che si ottiene seguendo il programma dalla base verso il vertice e risolvendo, a livello di diagramma, i singoli problemi che il programma pone, ossia risolvendo isolatamente le singole esigenze della progettazione.
L’utilizzazione di «diagrammi» per la progettazione non è certamente un fatto nuovo. Tuttavia questi hanno sempre riassunto i caratteri di una struttura fisica, o quelli del suo funzionamento.
Viceversa, un diagramma appare utile soltanto se individua lo schema strutturale proprio di quel problema di design; se cioè assumendo che ogni fenomeno della realtà non corrisponda a una sola gerarchia, descrivibile interamente in termini morfologici, o interamente in termini funzionali ma, piuttosto, ad un sistema di gerarchie, collegate e sovrapposte in modo vario, che possono o non corrispondere tutte ai livelli della gerarchia morfologica o di quella funzionale, esso si presenta, simultaneamente, come diagramma di esigenze e come diagramma di forma.
In tal senso, rappresenta il momento di passaggio dagli obiettivi (esigenze) della progettazione espressi in termini generali, ossia concettuali, agli stessi espressi in termini di forma. Alexander definisce le proprietà di un diagramma, il quale – come diagramma di esigenze – deve mettere in evidenza quei caratteri del problema che appaiono rilevanti rispetto a quell’insieme di esigenze, e non deve includere dati che non siano specificamente pertinenti ad essa; come diagramma di forma, esso deve essere sufficientemente specifico da includere tutte le caratteristiche fisiche implicate da quell’insieme di esigenze, e sufficientemente generale da sintetizzare, in termini astratti, la natura di qualsiasi forma che possa risolvere il problema.
Inteso così un diagramma non è una forma, ossia non rappresenta la soluzione del problema: è solo un’ipotesi, ossia una assunzione circa la natura del contesto. Come un’ipotesi, esso rappresenta il legame concettuale fra più insiemi di forze. Come un’ipotesi, esso guadagna dall’economia e della chiarezza della notazione. Come un’ipotesi, esso non può essere ottenuto attraverso metodi deduttivi, ma solo con un’astrazione e un’invenzione. Come un’ipotesi, esso può essere rifiutato o modificato quando una nuova forza del contesto genera una discrepanza.
Il più interessante tentativo di utilizzare questo sistema di scomposizione del problema e di «sintesi» dei diagrammi corrispondenti ai singoli sottoproblemi è certamente il progetto di un’autostrada a Springfield (Mass.), per la quale Alexander individua 26 variabili significative, corrispondenti ad altrettante potenziali incongruenze, per ciascuna delle quali propone un diagramma di soluzione, ossia una rappresentazione grafica simbolica di tutti i tracciati dell’autostrada che appaiono congruenti con quella variabile particolare.
Il risultato è una serie di 26 carte, disegnate, simbolicamente, servendosi di una scala grafica tonale, in cui il bianco corrisponde alle localizzazioni che determinano condizioni di incongruenza, e il nero a quelle che determinano condizioni di congruenza.
Partendo da queste variabili il problema del progetto finale si risolve stabilendo il sistema di interrelazioni che lega ciascuna alle altre 25 e individuando, con l’aiuto di un computer con il Metodo di Decomposizione Gerarchica dei Sistemi cui sia associato un grafo lineare, messo a punto da Alexander sulla base della teoria degli insiemi, quei sottogruppi di variabili fra i quali esiste il numero minimo di interrelazioni possibili. Procedendo in tal modo attraverso fasi che prevedono un numero sempre minore di sottogruppi, fino al problema finale, si individua il «diagramma» del progetto, che consente, se lo si segue dal basso verso l’alto, di giungere al «diagramma» della forma finale; i «diagrammi» relativi alle singole variabili, vengono «combinati».
I singoli gruppi individuati nel programma, in un nuovo diagramma, fino a quello finale. Nel caso particolare la «combinazione» dei diagrammi si basa sulla possibilità di sovrapporre le 26 carte simboliche preparate in fase iniziale, e valutando ad occhio – che diventa, in realtà, un computer di tipo particolare – i valori tonali ottenuti in tal modo.
Notevolmente più complesso appare il progetto di un villaggio agricolo di 600 abitanti, che sia congruente con le condizioni attuali e con quelle della evoluzione futura dell’India. Per questo progetto Alexander individua 141 variabili che corrispondono ad altrettante potenziali incongruenze, e, per ognuna di queste, le interrelazioni con le altre 140.
L’analisi, a mezzo di un calcolatore elettronico, del complesso di interrelazioni che esistono fra le 141 variabili consente di individuare, in questo caso particolare, 4 sottoinsiemi principali suddivisibili ancora in 12 sottoinsiemi minori, ciascuno dei quali contiene un certo numero di variabili strettamente interrelate fra loro.
Si individua, così, il «programma» del progetto: i quattro sottoinsiemi principali, derivati dalla prima fase del processo di decomposizione, includono variabili che riguardano, il primo (A) il bestiame, i carri, i prodotti alimentari; il secondo (B) la produzione agricola, l’irrigazione, la distribuzione; il terzo (C) la vita sociale ed industriale del villaggio, inteso come comunità; il quarto (D) la vita privata degli abitanti, i loro alloggi, le attività a piccola scala.
Dopo la seconda fase del processo di decomposizione i singoli sottoinsiemi, moltiplicandosi, si specializzano, ma restano ancora espressi in termini di esigenze. Soltanto nella fase di «sintesi», ossia nella fase in cui il progettista individua i «diagrammi» relativi ai singoli sottoinsiemi, le esigenze vengono espresse anche in termini di forma.
Il sottoinsieme C1 (ad esempio) è composto da due gruppi principali di variabili: il primo riguarda l’integrazione del villaggio con i villaggi vicini e con la regione, il secondo riguarda la futura base economica del villaggio e tutti gli aspetti della vita e della società «moderna ». Tutte le esigenze sono strettamente interconnesse: esse richiedono la creazione di un centro, lontano dal cuore del villaggio, localizzato lungo la strada, il quale possa, proprio perché lungo la strada, incentivare gli scambi con gli altri villaggi e rappresentare un punto di incontro ed un punto di riferimento anche visivo. Questa funzione è incentivata dalla presenza di un sistema di trasporto e dalla vicinanza ai posti di lavoro…
In tal modo, ognuna delle esigenze inclusa nel sottoinsieme C1 si specifica e si traduce, nel diagramma corrispondente, in una particolare configurazione (anch’essa al livello di esigenza) della forma fisica corrispondente. La «sintesi» dei 12 diagrammi in 4, e di questi in un diagramma unico, porterà, in definitiva, il progettista ad individuare la struttura della forma finale.
Come è possibile intravedere dai due esempi, per quanto sommari, riportati in queste note, la parte operativa del metodo di Alexander, ossia la traduzione in termini concreti del suo raffinato modello logico, non sembra aver raggiunto ancora un livello di maturità adeguato alle formulazioni teoriche preliminari.
Tuttavia la sua ricerca, nel complesso, si presenta notevolmente interessante, soprattutto perché indica una direzione di lavoro che sembra in grado di portare, in prospettiva, alla definizione di una disciplina che operi di fatto sulla forma, servendosi della logica matematica e delle scienze esatte per rendere esplicite le regole e per definire un’elegante filosofia della forma, chiara e comprensibile.
tratto dal numero 8